Festa della Madonna SS del Rosario

Origine della devozione del S. Rosario e istituzione della festa della Madonna del Rosario

La parola "Rosario", da cui prende il nome la preghiera in onore della Vergine, deriva dal latino "Rosarium" che significa "giardino di rose, roseto".
In epoca medioevale era assai diffusa l'usanza di metter una corona di rose sulle statue della Vergine quale simbolo delle preghiere a Lei rivolte dai devoti'.
Nei conventi dell'epoca, e soprattutto nei monasteri irlandesi del IX sec., i fratelli laici, spesso illetterati, dispensati dalla recita del Salterio per la scarsa familiarità con il latino, integravano le loro pratiche di pietà con la recita di 150 Pater Noster o Ave Maria in sostituzione dei 150 salmi che non potevano imparare a memoria.
S. Beda il Venerabile aveva suggerito l'adozione di una collana di grani infilati in uno spago per facilitare il conteggio e guidare la meditazione e la preghiera.
Questa "collana" di grani chiamata, non a caso, corona, assurse a simbolo di un mistico serto di fiori offerto, in preghiera, alla Madonna.
Questa devozione fu resa popolare da S. Domenico che, secondo la tradizione, nel 1214 ricevette il primo Rosario dalla Vergine Maria, nella prima di una serie di apparizioni, come un mezzo per la conversione dei non credenti e dei peccatori.
Nel secolo XIV il certosino Enrico di Kalcar ne propose la suddivisione in 15 decine separate da un Pater Noster (solo nel 1613 si aggiunse, a completamento, il Gloria.
I
ntanto alla contemplazione insita nella preghiera vocale si aggiunse quella meditativa basata sulla evocazione di momenti della vita di Cristo, pportunamente enunciati con frasi e denominati "misteri".
N
el 1470 Alano de la Roche distinse le tre cinquantine in rapporto a tre cicli meditativi incentrati sull'Incarnazione, la Passione, la Gloria di Cristo e di Maria (misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi).
È in questa epoca che il Salterio Mariano comincerà a chiamarsi "Rosario della Beata Vergine Maria" .
Nel 1478 il papa Sisto IV promulga la Bolla "Pastor Aeterni" in cui si afferma che il Rosario della B.VM. è composto da 150 Ave Maria e 15 Pater Noster.
Nel 1571, anno della battaglia di Lepanto, il papa Pio V chiese alla cristianità di pregare con la recita del Rosario per chiedere la liberazione dell'Europa cristiana dalla minaccia turco-ottomana e allontanare il pericolo dell'invasione.
La vittoria della flotta cristiana, avvenuta il 7 Ottobre, venne attribuita all'intercessione della Vergine Maria invocata con il Rosario.
Il 17 Marzo 1572 il santo papa Pio V, con la Bolla "Salvatoris Domini" istituiva la Commemoratio Beatae Virginis De Victoria. Nel 1573 Il suo successore, Gregorio XIII, con la Bolla "Monet Apostolus" istituisce la festa solenne della Madonna del Rosario fissandola alla 1^ domenica di Ottobre.
Nel 1913 un decreto del pontefice S. Pio X riporterà tale festa alla data storica del 7 Ottobre.
L’attuale statua della B.V. del Rosario fu commissionata dal curato Nicolò Fanti nel 1711.
Il corpo è di legno imbottito mentre la testa e le mani sono di cartapesta.
Nell'interno della testa vi è una iscrizione che attesta che il lavoro fu eseguito da Sr. Maria Regina Conelli con l'aiuto di Sr. Maria Serafini, sua zia, entrambe monache del monastero di S. Maria Maddalena a Monte Cavallo a Roma.
Nel Gennaio 1863 il Vicario Foraneo don Vincenzo Fabrizi, guarito miracolosamente da un ictus dopo che si era rivolto alla S. Vergine del Rosario, sollecitato dal popolo e dal Cardo Parracciani Clarelli, già vescovo di Montefiascone (1844-1854), inoltrò istanza al Vescovo Luigi Jona supplicandolo di provvedere affinché il Capitolo Vaticano concedesse l'onore della corona aurea alla Madonna del Rosario in conformità a quanto disposto dal conte Alessandro Sforza.
Quest'ultimo aveva lasciato la somma di 71.000 scudi a titolo di legato alla Basilica Vaticana affinché, con i frutti prodotti da tale capitale, ogni anno si incoronasse una immagine miracolosa della Beatissima Vergine. Fu così che i l4 Ottobre 1863 la Sacra Immagine venne incoronata, con le corone auree donate dal Capitolo Vaticano, dal vescovo di Montefiascone Mons. Jona al termine di una solenne Messa che vide radunato tutto il popolo di Piansano.
I
n tale occasione, per la processione, venne inaugurata la nuova macchina processionale dalle linee gotiche.
Il Cardo Parracciani Clarelli trasmise, al parroco don Fabrizi, la Bolla con la quale in papa Pio IX concedeva l'indulgenza plenaria in occasione dell' incoronazione.
Il 14 Marzo 1867, lo stesso papa Pio IX, accogliendo le istanze del Clero e del Popolo di Piansano, elevava la festa al grado di "Solennità di 1^ classe con Ottava".
E' ampiamente documentato dagli ex-voto e dai donativi in preziosi, la profusione di grazie elargite dalla Madonna del Rosario ai suoi figli.
Grazie non solo di ordine materiale, evidenti nelle guarigioni, ma anche e soprattutto spirituali.
Sono testimonianze che ci parlano del profondo legame che si è instaurato tra la comunità piansanese e la Madre Celeste e che in tale vincolo rafforza e ritrova la propria identità comune e rinsalda la fede e il sentimento religioso.
Da sempre il senso di gratitudine per essere stati esauditi si è espresso anche con la poesia.
Il documento quì riportato costituisce un toccante esempio di quanto asserito.

Sii presente in ogni nostra Famiglia
a custodire e consolidare l'amore
casto fedele fecondo degli sposi
e l'affetto sincero disinteressato
generoso tra genitori e figli.

Festa della Madonna SS del Rosario
Piansano I^ Domenica d'Ottobre


La sera del venerdì della Festa
Statua Madonna del Rosario a Piansano Non credo di aver mai mancato questo appuntamento, negli ultimi cinquant’anni.Sono infatti sicuro che mia madre mi portava anche quando ero in fasce. Ma questo non va a mio vanto né denota un mio particolare attaccamento alle tradizioni. Sono molti a Piansano a poter affermare la stessa cosa.
Probabilmente tutti. E se anche uno di noi, per gli eventi non sempre preordinabili della vita, può non esser stato fisicamente presente la sera del venerdì della Festa all’interno del tempio ove da almeno tre secoli assistiamo con gli occhi ammirati e la mente rapita alla magica ascesa della Madonna del Rosario, sicuramente era lì con il cuore e con l’anima. Non si tratta di una cerimonia famosa, non la troverete nelle guide turistiche. Pochi, fuori Piansano, la conoscono. E se è pur vero che ogni anno, il venerdì della festa, un paio di autobus provenienti da Civitavecchia e Montalto stazionano sul far della sera fuori l’abitato in attesa dei pellegrini che si recano in chiesa per assistervi, ho sempre avuto il dubbio che si tratti di piansanesi emigrati o dei loro discendenti.Il venerdì della festa è quello che precede la prima domenica d’ottobre, e siccome capita ogni anno in una data diversa, non è possibile definirlo altrimenti. La festa è naturalmente quella della S.S. Vergine del Rosario: festa importante, non solo a Piansano. Per cui è naturale che quando si dice “Madonna del Rosario” si pensa subito a Pompei e al suo santuario. Ma non a Piansano: per noi non esiste altra Madonna, altro santuario. C’è solo Lei, che ci guarda dalla sommità dell’altare dove magicamente vola quel venerdì sera, e ci assiste tutto il resto dell’anno dalla sua nicchia al centro della navata laterale destra della chiesa parrocchiale, che se anche è dedicata a San Bernardino, patrono del paese, è però la sua chiesa, la sua casa. Qui c’è il suo altare, sorretto da angeli genuflessi in bronzo dorato; e incavata nel muro sotto un arco la sua sede: da qui volgendo verso di noi le sue mani ci offre benedizioni, sorreggendo con la destra il Bambino e con la sinistra un rigoglioso mazzo di rose.
Qui, davanti a Lei, che ci accoglie benigna, ci facciamo fotografare in ogni momento rilevante della nostra vita di cristiani: quando, battezzati, entriamo a pieno titolo nella casa di Cristo; quando, fanciulli, riceviamo trepidanti la prima comunione; il giorno della cresima, ormai ragazzi, e ancor più suoi figli; e dopo aver pronunciato il “sì” che ci unisce in una nuova famiglia... sempre ricorriamo a Lei, e sempre è con noi, nelle nostre foto di gruppo, come un’amica, una di casa, una di noi. Per cui non c’è meraviglia se la sera del venerdì della festa siamo tutti lì, accalcati tra le mura della chiesa, e anche fuori, impazienti di vederla, incontrarla.
Un certo fermento si avverte per le vie del paese fin dal pomeriggio.
Chi si trova a passare a Piansano può notare gruppetti di donne, perlopiù anziane, che a due e a tre, a braccetto e a passo veloce si dirigono in giù, verso la chiesa. Sono le “avanguardie”: si avviano con ore di anticipo per potersi assicurare un posto a sedere. Seguono singoli, coppie, intere famiglie. Una piccola folla si riversa nel paese vecchio, tanto più fitta quanto più l’ora si approssima.
E’ ormai sera e sul sagrato della chiesa è un gran vociare di uomini, donne, bambini. Qui e là stazionano gruppetti di giovani e ragazzi: non entrano in chiesa e un poco snobbano tutto questo fervore; però non si allontanano, stanno lì, tanto le porte del tempio sono spalancate e si vede bene anche da fuori. La piazzetta del resto ha una forma ad anfiteatro, sembra fatta apposta. I ritardatari non si lasciano scoraggiare dal fatto che la chiesa è stracolma, e in molti si accalcano fin sul portale. Spingono, si scusano, si fanno spazio, cercano di avanzare, nella speranza di trovare un posticino in cui sistemarsi.
La cerimonia non ha un vero e proprio inizio: i fedeli, che a poco a poco si raccolgono nel tempio, recitano spontaneamente ad alta voce il rosario. Una volta due volte... finché il sacerdote e i chierici si uniscono alla preghiera. Intanto intorno all’altare si nota un certo fermento: vengono rimosse le stupende composizioni floreali e la croce, si spostano i grandi candelabri... E’ giunto il momento: gli animi, già fortemente eccitati dalla ripetuta recita del rosario, prorompono nel canto liberatorio delle litanie lauretane; e tutti volgono lo guardo lassù, verso l’alto, sulla sommità dell’altare dove è già posizionata la splendida “macchina” che accoglierà la Madonna, un antico e fastoso baldacchino in legno impreziosito da lacche e intarsi colorati.
Statua Madonna del Rosario a Piansano Gli addetti alla macchina intanto proseguono le operazioni: dispongono obliquamente sull’altare due lunghe e resistenti travi di legno che vanno a incastrarsi con quelle che in alto sorreggono il baldacchino. Il popolo accompagna ininterrottamente con il canto la preparazione della struttura su cui la macchina scenderà, fino a posarsi dolcemente a terra. Dopo le litanie è la volta dei canti popolari mariani, un vero giacimento di fede, devozione, cultura e tradizione. Non vi è un ordine preciso: l’organista attacca il motivo e tutti lo seguono. Non vi sono schemi, scalette, testi distribuiti tra i banchi: tutto è assolutamente spontaneo. Il canto che si eleva dal popolo riempie le volte della chiesa e si propaga sul sagrato, ormai affollatissimo. Si invoca la Vergine Madre con le espressioni di fede e poesia che generazioni di musicisti, autori, poeti hanno elaborato e i nostri avi tramandato.
“Andrò a vederla un dì...” intima aspirazione di ricongiungersi a Lei nella pienezza della visione celeste. “Mira il tuo popolo o bella Signora...” invocazione filiale di aiuto, protezione e intercessione. “Madonna del Rosario è dolce esser tuo figlio...” espressione di fiducioso abbandono al materno suo amore. “Bella tu sei qual sole, bianca più della luna...” desiderio di perdersi nella sua abbagliante e candida visione. “O Vergine divina, Vergine tutta santa il popolo ti canta inginocchiato qui...” riconoscimento della sua maestà ultraterrena. E poi il suo inno trionfale, quello che fino a pochi anni fa si evitava di cantare perché troppa era la commozione che induceva nei cuori, troppe le lacrime che muoveva ai suoi figli: “Spunta nel cielo una stella, gioia e conforto sei tu...”.
Ecco la macchina si muove, lentamente inizia la discesa, all’inizio quasi impercettibile: solo il lieve scostarsi dei paramenti liturgici che rivestono la base su cui poggia il trono processionale, solo lo scricchiolio stridente delle corde tese che si distendono rilasciate dagli argani posti dietro l’altare fa intendere che il magico momento si sta rinnovando. Guardiamo assorti con occhi di bambino il ripetersi di un evento che da secoli non cessa di stupirci. Il tempio è illuminato a giorno, non una delle luci che lo rivestono oggi è spenta: dai grandi lampadari a goccia di cristallo che sovrastano il presbiterio al più modesto dei lumi, foss’anche una semplice bugia devozionale. Tradizionalmente questo è l’unico giorno dell’anno in cui ciò avviene.
Quando la macchina - anch’essa accesa da una fitta teoria di lampadine che ne incorniciano il profilo - si posa lievemente a terra, la cerimonia entra nella sua fase di più intensa partecipazione, non solo spirituale. Una piccola processione di ecclesiastici, guidata dal celebrante e con al seguito sacerdoti e chierici, scende dall’altare e percorrendo la navata centrale si dirige verso una piccola sacrestia situata nei pressi dell’ingresso sinistro del tempio, quello tradizionalmente riservato agli uomini. Il semplice corteo è preceduto dai “sacramenti”, ovvero gli accoliti della confraternita del SS. Sacramento nel loro tradizionale saio bianco legato in vita e mozzetta rossa con scudetto argenteo. Giunti davanti alla sacrestia, facendosi largo tra la ressa degli astanti, “i sacramenti” si dispongono a lato per aprire la strada gli ecclesiastici che, aperta la porta, vi si introducono. Seguono istanti di palpitante attesa.
La stanza è aperta, ma nessuno può vedere l’interno, perché tutti siamo posti di lato; solo i confratelli, posti di fronte, hanno questo privilegio: lo vediamo dai loro occhi fissi, sbarrati, carichi di lacrime che non riescono a contrastare. Dalla sacrestia si odono rumori stridenti. La porta è talmente piccola e stretta che la sacra statua per potervi passare deve essere posta a terra e fatta strisciare sul pavimento. Non sono mai entrato in quella stanza, non so cosa vi avviene, immagino che il celebrante incensi il sacro simulacro e con il suo seguito vi reciti una preghiera. Ma non so...
Mentre il popolo prosegue i suoi canti che ininterrottamente faranno da colonna sonora a tutta la cerimonia, noi che siamo prossimi alla sacrestia scuotiamo i nostri occhi, sempre più languidi, per reprimere le incombenti lacrime. Ecco apparire sulla soglia, tra i montanti e l’architrave, l’abbagliante visione, così come un giorno dovette avvenire a Bernardette e alle sue compagne. Esplode irrefrenabile il grido di giubilo: EVVIVA MARIA! Si trasmette come un moto ondoso di bocca in bocca, di cuore in cuore e i suoi echi si perdono tra le sacre volte. Altre voci, in prossimità dell’altare, lo riprendono e lo rimandano.
La madre celeste ci guarda, anzi volge a noi gli occhi suoi misericordiosi, mentre viene sollevata, vacillando vistosamente, e posta sulle spalle. Ecco il suo amorevole volto, ecco il suo divino Bambino, ecco le sfavillanti corone auree che cingono la loro testa, il rosseggiante mazzo di rose, la veste preziosa di antichi ricami...
Sostenuta dai suoi portantini la Virgo Fidelis quasi ci sfiora, mentre maestosa si immette sulla navata centrale, mostrandoci il celeste manto, fittamente intessuto di filamenti d’oro e riverso sul trono sul quale è assisa. Voglia di affondare il viso nel suo grembo materno, di affidare a lei le nostre ansie, di perdersi nel suo amore divino... Passa in mezzo alla folla, ai suoi figli, che cantano le sue lodi e non distolgono da lei lo sguardo.
Elevano le mani per sfiorare il venerato manto, carezzare il glorioso trono, almeno toccare il bordo della veste... come fece lo storpio che Gesù risanò per aver dimostrato la sua fede. In cuor loro pregano, a lei si affidano, presso di lei intercedono, poi nuovamente in una sola voce prorompono: VIVA MARIA! E’ il grido che costantemente si ripete e accompagna il suo percorso trionfale finché, posta sul baldacchino, inizia la sua magica ascesa. Magica... non ho mai violato questo mistero, non mi sono mai portato dietro l’altare, anche solo per un furtivo sguardo, per scoprire l’ingegnoso e antico meccanismo che da secoli governa la sua ascesa. Mi basta, ci basta, guardarla, cantarla, acclamarla, mentre lieve ed eterea si eleva su di noi; più su, fino a raggiungere la sommità del tempio, in alto, sull’altare. Solo allora cessano i canti, solo allora il celebrante riconquista la parola e insieme ai fedeli eleva la tradizionale supplica: “Noi ci rivolgiamo a te, Vergine Santa del Rosario. A te affidiamo...”

La Domenica della Festa
Statua Madonna del Rosario a Piansano Invero non si può immaginare cerimonia più solenne e interiormente vissuta della processione della Madonna del Rosario a Piansano, la prima domenica di ottobre. Fin dal primo mattino il clima di festa pervade gli animi e si riversa nell’aria. Scendete in strada, tra la gente: vedrete solo sguardi sereni e visi sorridenti.
La giornata inizia molto presto: le mamme, le mogli, si alzano all’alba e non perdono tempo. C’è molto da fare: la casa, i figli, i mariti, il pranzo delle grandi occasioni. E poi gli ospiti, non c’è casa in cui non ve ne siano. Certo, qualcuno potrà anche sorridere del fatto che tutti indossino il vestito della festa: gli uomini in blu o in scuro, come il giorno del matrimonio, magari con lo stesso completo. Che si vedano cravatte ben annodate anche al collo di chi non le porta il resto dell’anno. Che si incontrino solo donne fresche di parrucchiere, in abiti eleganti e signorili, pur se semplici massaie. Neanche i ragazzi rinunciano alla giacca e ad una camicia ben stirata. L’abito nuovo è d’obbligo per giovani e fanciulle: sfilano per le vie del paese come su una passerella, facendosi ammirare. Si va in chiesa, come il venerdì: da soli, in coppia, a gruppi. Ma stavolta senza fretta, quasi passeggiando. Intanto la “messa cantata” notoriamente è molto lunga e qualche minuto di ritardo ci può stare; il posto poi comunque non si trova, e tanto vale rassegnarsi. Tutto il paese è un via vai di bella gente che anche così onora la Madonna del Rosario: presentandosi alla sua festa nella condizione migliore. Qualche forestiero romano, di quelli che hanno comprato e restaurato le vecchie e fatiscenti abitazioni della rocca, esce di casa in libertà, magari in tuta, addirittura in calzoncini; si guarda intorno un pò spaesato: decisamente stona, si nota, dovrebbe capirlo...
La messa solenne è concelebrata da numerosi sacerdoti: non mancano mai i vecchi parroci, che rimangono inevitabilmente legati ai toccanti riti che hanno officiato; neppure i sacerdoti originari del paese, se possono, perdono l’occasione. Sfavillio di luci, colori, preziosi paramenti liturgici che rivestono i celebranti e addobbano gli altari, l’organo, il coro: la chiesa è magnifica, e ancor più lo era anni fa... allorché il pôro Guelfo, in bilico sullo stretto cornicione che delimita la volta del tempio, a decine di metri di altezza dal suolo, vi si muoveva con la stessa agilità e destrezza con cui una scimmia si penzola sui rami alti degli alberi. Percorreva in su e in giù l’ardita prominenza, piegandosi e pericolosamente sporgendosi per seguire l’andamento della volta, riuscendo così a stendere sul cornicione, sulle colonne che affiancano l’altare maggiore e sull’altare stesso quei maestosi paramenti che sono ancora nella memoria di noi tutti e che nessuno, dopo di lui, ha più osato collocare. Anche quella era una prova di fede, di fede estrema.
Oggi si rinuncia a tanta pompa, ma la celebrazione non perde nulla in termini di solennità e partecipazione emotiva. Il momento culminante è naturalmente quello della discesa della Madonna: una volta a terra, tra le grida di giubilo degli astanti, la macchina viene sollevata a spalla dai “portantini” per esser portata in processione. Questi ultimi, uomini di ogni età ma perlopiù maturi ed anche anziani, indossano una stola candida con fascia celeste e monogramma mariano e si assumono il gravoso onere di trasportare per vari chilometri il pesante baldacchino.
All’uscita dalla chiesa, così come era successo il venerdì nella piccola sacrestia, la macchina, che in considerazione delle sue dimensioni non potrebbe certo passare attraverso la porta del tempio sulle spalle dei portantini, viene posta a terra, girata di lato e “strisciata” fin sul sagrato dove, nuovamente innalzata, inizia il suo percorso processionale. C’è subito da affrontare “la salita della chiesa” che con il suo notevole dislivello potrebbe impensierire i portatori che devono anche destreggiarsi nelle strette vie del centro storico per non urtare le festose luminarie. Giunti sulla piazza, la processione assume la conformazione che manterrà per tutto il resto del percorso. I devoti, suddivisi su due lunghe file parallele, aprono il corteo uniti nella preghiera e nel canto; seguono gli sbandieratori, la banda musicale, i membri delle confraternite nella loro caratteristica divisa, le autorità religiose con in testa il celebrante avvolto nei paramenti liturgici, i coadiuvanti, i chierici.
La Madonna in trono avanza lentamente lungo il paese, con al seguito un grandioso (è l’aggettivo giusto) concorso di popolo che riempie e occupa l’intera via. Subito dietro sfilano le penitenti, talvolta scalze: si tratta di un folto gruppo di donne, perlopiù mature o anziane, che portano in processione un grande cero, scomodo e pesante, sorreggendolo obliquamente al petto con le mani protette da un fazzoletto, per evitare che scivoli. Con questa particolare forma di devozione, tradizionalmente riservata alle sole donne, si intende sciogliere o propiziare un voto. Si vuole cioè ringraziare la Vergine per aver ricevuto una grazia o ci si affida al suo amore materno per ottenerla.
Portare il cero non è un atto devozionale occasionale o estemporaneo: chi decide di farlo assume solitamente l’impegno per tutta la vita, o almeno finché ne ha la forza. E’ anche segno di grande umiltà: si procede a testa bassa, sotto gli occhi di tutti. Ci si espone: in un piccolo centro le vicende personali e private, specie quelle legate ad eventi negativi quali malattie o rovesci famigliari, non sono mai così riservate... Portare il cero può costituire, agli occhi degli astanti, una conferma o un’ammissione di vicende o problemi che, seppur difficili da celare, spesso si preferisce involgere in un velo di pudore.
Non vi è luogo per confronti: se non è dubbio che il cruento omaggio devozionale dei battenti di Guardia Sanframondi è ben più eclatante e invasivo, è anche vero che questa forma estrema di manifestazione della fede è almeno protetta dall’anonimato; le penitenti di Piansano, che meglio dovremmo qualificare come “zelanti”, considerato che il loro gesto non è generalmente legato a una colpa da redimere ma a un voto da onorare, professano a viso aperto la propria umana fragilità, la loro inflessibile fiducia che la Vergine Santa possa accoglierle sotto il suo manto protettivo, tutelando le loro famiglie da avversità, traversie, sventure. E di ciò non possono dubitare, perché la Madre Celeste è sempre intervenuta in soccorso dei suoi figli, ogni volta che è stata invocata: spargendo generosamente la sua grazia o portando conforto e consolazione, lei che – non dimentichiamolo – è la “consolatio afflictorum”.
Di ciò sono prova i numerosissimi ex voto che la devozione popolare le ha dedicato e il “povero” tesoro di cui l’ha omaggiata. Povero in quanto costituito per la gran parte da catenine, orecchini, spille, braccialetti, anelli... oggetti di modesto valore economico ma di straordinario valore simbolico: perché quei monili erano spesso le uniche cose di pregio che quell’umile gente possedeva e di cui volentieri si privava per far risplendere la veste della Vergine, la cui divina volontà, all’occasione, ha saputo chiaramente manifestarsi.
Anni fa, ad esempio, senza voler scavare in epoche a noi lontane, tutti siamo stati testimoni di un evento che non si può che definire straordinario.
Antefatto: la costruzione della nuova chiesa, al centro del paese, aveva riscaldato gli animi e suscitato non poche polemiche. Questo poiché per la sua realizzazione si era reso necessario demolire il vecchio edificio settecentesco, caro alla memoria dei piansanesi, per quanto di modeste dimensioni e non più adeguato alle esigenze di una comunità in crescita. Il nuovo tempio, in stile moderno e caratterizzato da forme rigorosamente geometriche con materiali di costruzione a vista, stentava ad entrare nel cuore dei fedeli, seppur funzionale, comodo e ampio.
Successe questo: la processione partì come sempre dopo la messa cantata in una splendida giornata di sole; allorché tuttavia la Madonna giunse davanti alla Chiesa Nuova (come viene tutt’oggi chiamata) un temporale improvviso quanto violento portò inevitabile scompiglio tra i partecipanti al rito. Lì per lì si decise di riparare la sacra statua all’interno del tempio, per sottrarla alle intemperie. Ma non appena ciò avvenne la pioggia cessò di cadere e tornò a risplendere il sole, consentendo così di riprendere e portare a termine la processione. Fu chiaro a tutti che la Madonna aveva voluto visitare la chiesa, legittimandola, e indicando chiaramente che la via da percorrere era quella della preghiera, il cui valore prescinde dal luogo in cui viene elevata, e non quella della polemica.
Ma torniamo alla festa... dopo aver percorso le vie del paese, con la stessa solennità il lungo corteo volge al ritorno. Una volta rientrati nella chiesa parrocchiale i portantini possono sgravarsi del peso, posando la macchina sul supporto ai piedi dell’altare. La sacra effigie della Vergine, circonfusa di luce, può così spiccare nuovamente il volo fin sulla sommità...
La Madonna del Rosario nel suo trono processionale resterà trionfalmente esposta per un’intera settimana, durante la quale sarà costante oggetto di devozione e preghiera. La domenica successiva, nel pomeriggio, durante una cerimonia lontana dai clamori del “venerdì della festa” ma non per questo meno partecipata, avrà luogo la “reposizione”: davanti a un’assemblea ecclesiale composta quasi esclusivamente da donne, scenderà per l’ultima volta dall’altare per esser nuovamente riposta nella piccola sacrestia, prima di raggiungere la sua tradizionale sede nella cappella della navata destra, dove resterà per un intero anno.
Fino al sopravvenire di quel magico venerdì...

Questo articolo è stato scritto da Giuseppe Moscatelli ed è stato pubblicato su www.canino.info

Filmati della
Madonna del Rosario 2018


MADONNA DEL ROSARIO
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